SUPU : Covid, “i guariti con anticorpi non vanno vaccinati”. Gli ultimi studi, parla l’esperto del Consiglio superiore di sanità

Covid, “i guariti con anticorpi non vanno vaccinati”. Gli ultimi studi, parla l’esperto del Consiglio superiore di sanità

Luigi Frasca 
Chi è guarito dal COVID-19 deve vaccinarsi? Ormai, una molteplicità di studi clinici ed epidemiologici – citati da The Lancet – convergono sua una risposta chiara: i guariti hanno una protezione superiore ai vaccinati. I ricercatori dello Stroke Institute, Università del Missouri, hanno analizzato 9.119 pazienti con infezione da SARS-CoV-2 e concluso che la re-infezione è stata identificata nello 0,7% dei casi.
Stesse conclusioni arrivano dallo studio austriaco, del Dipartimento di Medicina Interna, dell’Università di Medicina di Graz: la frequenza dei ricoveri ospedalieri per re-infezione di persone già guarite dal COVID era di 5 su 14.840 soggetti (0,03%) e la frequenza dei decessi per re-infezione era di 1 su 14.840 persone (0,01% ).
Inoltre, alcune persone che sono guarite dalla COVID-19 potrebbero non beneficiare della vaccinazione COVID-19. Questo quanto sostenuto dai ricercatori dell’Università di Newcastle, dove si è visto che – su 972 operatori sanitari – che avevano già avuto COVID-19 questo «era associato ad un aumento del rischio di eventi avversi a seguito della vaccinazione BNT162b2/Pfizer».
Per comprendere al meglio il tema, complesso ed estremamente delicato, e a fronte della richiesta del Comitato Guariti Covid (che rappresenta migliaia di ex pazienti) al Governo di riconoscere gli anticorpi da sierologico al fine del green-pass. In questo contesto, abbiamo chiesto chiarimenti a Paolo Gasparini, membro esperto del Consiglio Superiore di Sanità, Direttore di Genetica Medica dell’università di Trieste.
Direttore, la protezione immunitaria acquisita dai guariti è superiore a quella acquisita con i vaccini? Ci sono studi scientifici che confermano questa tesi e perché? «I guariti sono immuni contro tutte le porzioni del virus a differenza dei vaccinati che sono stati immunizzati solamente contro la proteina Spike (una parte del virus). Diverse pubblicazione scientifiche inoltre dimostrano chiaramente che l’immunità naturale è maggiore e di più lunga durata di quella determinata dai vaccini».
I guariti ufficiali in Italia sono quasi 5 milioni, non calcolando gli asintomatici e paucisintomatici. Se una persona facesse il sierologico e scoprisse casualmente di avere anticorpi, non sarebbe considerata comunque guarita a livello burocratico (lo sarebbe solo se lo scoprisse mentre ha la malattia con test molecolare) e dovrebbe fare comunque due dosi di vaccino. Che ne pensa?
«Penso che dovremmo agire come abbiamo sempre fatto sinora per altre malattie virali: in presenza di anticorpi circolanti non si vaccina ma al massimo, trattandosi di una forma nuova di virosi, si monitora nel tempo la quantità di anticorpi per valutarne l’andamento».
I guariti dovrebbero fare il vaccino, se hanno anticorpi ad un livello significativo (seppure non vi sia un limite ufficiale riconosciuto)?
«Normalmente nei soggetti guariti da un’infezione virale e con anticorpi circolanti non si procede ad una vaccinazione. Non si capisce quale è il razionale per fare un’eccezione a quanto praticato nella medicina sinora e cambiare strategia nel caso del Covid19».
È stato recentemente approvato il vaccino per i bambini tra i 5 e gli 11 anni. I dati di fase 2/3 sono stati elaborati su 3.100 bambini (e di questi dati il 5% non è stato reperibile). È una coorte sufficiente per valutare i possibili rischi di reazioni avverse? (Per miocardite si parla di 1 caso su 6/9mila inoculi nei 12-17enni).
«Per stare tranquilli bisogna aspettare che il numero di soggetti arruolati nel clinical trial sia almeno 4-5 volte superiore. Ovviamente bisogna distinguere tra approvazione di un vaccino e quindi la sua disponibilità sul mercato ed il suo utilizzo in pazienti “fragili” e campagna vaccinale, per la quale, parlando di bambini sussistono anche aspetti di tipo etico».
I vaccini attuali sono sterilizzanti? Ovvero impediscono i contagi?
«No, i vaccini non impediscono i contagi. I dati raccolti sinora sulla carica virale dei vaccinati e sulla loro contagiosità non sono conclusivi anche se certamente esiste una riduzione della contagiosità. Sarebbe veramente interessante, ed aiuterebbe a rispondere a questa domanda, avere i dati divisi per tipo di vaccino visto che si tratta di almeno 4 vaccini diversi tra loro. Purtroppo questi dati non sono reperibili».
Negli Stati Uniti i CDC ha riportato (il 26 ottobre) il dato secondo cui i bambini che sono già venuti a contatto con il virus sono circa il 40%. Secondo lei è utile fare un sierologico prima di tutto? Qual è la strategia alla base della vaccinazione dei bambini già guariti?
«Certamente sarebbe utile eseguire un test sierologico sia per ottenere dati epidemiologici che per definire strategie vaccinali razionali e pertanto verosimilmente efficaci. Ai bambini guariti si possono applicare le stesse regole che dovrebbero essere applicate ai guariti adulti ovvero non vaccinarli ma eventualmente monitorare l’evoluzione del tasso anticorpale nel tempo».
Circa il 25% dei nuovi casi sono in età pediatrica, quali sono i problemi e i rischi per i bambini che contraggono COVID?
«La stragrande maggioranza dei bambini che contrae il Covid19 non manifesta alcun sintomo o sintomi molto blandi tipo un raffreddore. Solo una minima parte manifesta una forma più grave e solo un numero veramente ridotto richiede l’ospedalizzazione. A titolo d’esempio a fronte di 6.5 milioni di bambini affetti negli Stati Uniti, il tasso di ospedalizzazione varia nei vari Stati americani da 0% a 2% mentre quello dei decessi da 0% a 0.03%. La maggior parte dei casi ospedalizzati e la quasi totalità di quelli deceduti presentano comorbidità (altre patologie, ndr)».
In sintesi si tratta di percentuali simili a quella dell’influenza stagionale. Cosa è il long-COVID nei bambini? In cosa consiste mediamente? «Il long-covid consiste nella persistenza di alcuni sintomi (astenia, mal di testa, dolori alle articolazioni, difficoltà a concentrarsi, etc.) nei 3-4 mesi successivi alla comparsa della malattia. Oggi, grazie ai dati ottenuti sulla popolazione britannica dai ricercatori di UCL, sappiamo che il long-covid (presenza di tre sintomi/segni) può presentarsi al massimo nel 14% dei bambini che contraggono la virosi. La presenza di 5 sintomi si ritrova nel 7% dei casi. Si tratta pertanto di percentuali decisamente inferiori alle stime fatte finora».

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